Una prima possibile definizione di neuromarketing ci può aiutare a capire come il nostro cervello ci porta a prendere determinate decisioni piuttosto che altre ed è essenziale per ottimizzare i processi di comunicazione legati alla vendita di farmaci e medical device.
Il ruolo del farmacista è fondamentale non solo per vendere un prodotto ma per dare un consiglio personalizzato al fine di fidelizzare il cliente. La farmacia moderna può trovare nel neuromarketing un valido alleato per differenziarsi dove si pone al centro l’interesse umano e la sua individualità.
È importante capire i comportamenti dei consumatori non solo per migliorare le piattaforme tecnologiche ma anche per suggerire nuove strategie e per migliorare servizi e vendite.
D’altro canto è importante rafforzare le nostre competenze nel campo dell’intelligenza emotiva al fine di gestire al meglio le nostre emozioni e quelle del nostro interlocutore, stabilire una relazione più stretta è fondamentale per prendere decisioni più adatte in funzione del nostro obiettivo; il vecchio “agire d’impulso” non è ad oggi la mossa vincente.
Tra gli strumenti del neuromarketing una parola che ha suscitato grande interesse di studio è: empatia. L’empatia insieme alle domande e all’ascolto sono gli elementi vincenti in grado di aiutarci quotidianamente al banco. E altresì vero che non tutti sono dotati di una spiccata connessione con il proprio interlocutore attraverso la conoscenza verbale e non verbale, ecco perché occorre oltrepassare il pregiudizio della nostra percezione e focalizzarci su ciò che abbiamo davanti. Immaginiamo di avere una lente d’ingrandimento, tramite la quale possiamo arrivare ai segni para-verbali e non-verbali e quindi arrivare all’esigenza.
Ma l’intelligenza emotiva si può allenare?
Si la buona notizia è che l’intelligenza emotiva si può allenare.
Si può allenare facendo domande, coinvolgere l’interlocutore, che ci spingono alla riflessione, che esplorano i bisogni oppure si possono costruire domande indirette facendo attenzione a evitare che il nostro cliente/paziente si senta a disagio.
C’è un valore per ogni emozione che proviamo, mettiamola in pratica.
A cura di Chiara Capotosto