menu

I giorni più lunghi: la pandemia vissuta dentro la farmacia

Dopo quasi due anni, per noi farmacisti questa emergenza sembra essere divenuta uno stato d’animo.Ci siamo messi a disposizione del cittadino, al suo servizio: prima con i test sierologici, poi tamponi, vaccini e tutte le articolate normative che li abbracciano.

Quando gli amici parlano di “lockdown”, tu pensi che non l’hai mai vissuto: quei mesi di strade vuote, attività chiuse, ti vedevano sempre lì. Gel, mascherine, dpi introvabili. Plexiglass, protocolli e distanze non solo fisiche. Hai imparato a gestire il timore di ammalarti, hai imparato a “convivere”, più o meno consapevolmente, con i pazienti positivi che ogni giorno entrano in farmacia. Hai visto l’alternarsi delle varianti, hai assistito familiari ed amici, hai confortato i pazienti.

La condizione psicologica rispetto all’inizio è cambiata moltissimo: i primi mesi la paura di ammalarsi è coincisa coi potenziali gravi rischi per la salute e dei propri cari.
Poi i vaccini, il minor impatto di esiti seri per la salute e la paura principale che diventa come gestire la farmacia qualora si dovesse mancare, non mettere in difficoltà i collaboratori e le proprie famiglie.

Non ti distrai mai, nemmeno un attimo. Eviti occasioni di incontro con gli amici.
Poi arriva la variante Omicron, si diffonde rapidamente, ed anche chi finora aveva resistito cede al tampone positivo.
La prima sensazione è di scoramento, i sintomi pochi e lievi, si apre lo scenario di almeno dieci lunghi giorni di isolamento.

La Farmacia, luogo di riferimento e sede di relazioni, diventa forzatamente lontana.
Le telefonate con le colleghe, il senso di responsabilità derivante dal garantire la loro salute, i tamponi quotidiani: ogni giorno sembra non voler finire mai, così tremendamente simile al precedente.  I pazienti chiedono, preoccupati, arrivano messaggi e telefonate: “ti aspettiamo presto!”.Le condizioni fisiche migliorano, ma la pressione sul lavoro non accenna a diminuire: è il periodo di capodanno, file lunghissime per i tamponi e per il banco.
Altri due casi a lavoro, tra essi scollegati.

Occorre subito trovare una nuova risorsa, che voglia mettersi a disposizione. Arriva.
Il gruppo che rimane è forte e tiene duro. Tu motivi le tue risorse, loro ti sostengono: “ne usciremo insieme”. Ecco finalmente in tanto atteso tampone negativo, dieci giorni dopo. Si torna, tra mille emozioni. Quella che prima era una sensazione, ora è una certezza: questo non è solo un lavoro, è molto molto di più.

Storia anonima di un farmacista contagiato