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Farmacisti e vaccini: tra la ragione di Stato e lo stato delle ragioni

Perseguire il risultato inerpicandosi lungo una scoscesa china legislativa oppure attendere che giungano altri suggerimenti per una riorganizzazione o per un ripristino del sistema vaccinale al netto dell’emergenza covid-19?

Il tema rovente che la coda di quest’estate porta con sé è la classica tematica la cui identificazione non ha una chiave di lettura univoca ed, anziché fornire la risposta, è ben più corretto parlare di punti di vista.

Il mondo dei farmacisti, nella sua variegata architettura rappresentativa, sostiene il progetto vergato UTIFAR il cui presidente, il dr Eugenio Leopardi, sostenuto da FOFI e Federfarma, Fondazione Cannavò e la nostra Fenagifar, si fa portatore di questo vessillo: un’opportunità di ampliamento delle competenze del farmacista nonché una chiara rivendicazione di quella sacrosanta centralità che il farmacista ha riacquisito, a fronte di grandi sacrifici ed abnegazione durante la pandemia. Il tutto basandosi sulla formazione e l’acquisizione di quelle competenze che consentirebbero di avvalorare ulteriormente la farmacia ed il farmacista quali presidi territoriali di vitale importanza. Un provvedimento che invoca l’uniformità rispetto al “Sistema Europa” nel quale i nostri colleghi, in diversi Paesi, dispongono di uno spettro di competenze differente rispetto a quanto avviene sul suolo italico in virtù di normative differenti che portano ad un percorso volto alla legittimazione di tale facoltà.

Il mondo medico, dal canto proprio, replica indicando la forma di questa rivendicazione come inammissibile. Si qualifica il tutto come un “atto medico” che, come tale, non può essere ascrivibile ad altri se non all’erede di Ippocrate.

Due posizioni a rischio di incorrere nel “fuoco amico”.

Tra una risicatissima minoranza di medici (con ogni probabilità quella men che millesimale quota di “disertori” in tempo di covid) serpeggia l’anelito di investire le farmacie di quel ruolo di “valvola di sfogo” come già visto in piena emergenza negli scorsi mesi facendo un fugace occhiolino ad una proposta che eviterebbe un affollamento degli studi in un contesto così rischioso.

Tra i farmacisti, invece, c’è chi ravvisa come questa evoluzione possa inasprire la distanza che intercorre tra farmacie e parafarmacie acuendone, eventualmente, le frizioni indebolendo un tessuto professionale che, ancora oggi, è a caccia di un equilibrio.

Tra i colleghi, inoltre, c’è chi identifica questa proposta come un sovraccarico di lavoro a danno dei collaboratori (nonché degli stessi titolari), a fronte di una remunerazione che non suggerisce, allo stato delle cose, margini di incremento, nonché un ritardo, a danno delle farmacie, nelle operazioni di quotidiana tutela della salute laddove il farmacista dovesse ottemperare anche a queste mansioni.

In ultimo, ma,assolutamente, non per importanza, c’è chi fa riferimento al nobile genoma della professione del farmacista che trova piena realizzazione nell’inscindibile binomio con il farmaco vedendo una crescita dello speziale in un’auspicabile e “retrotopica” restituzione dei farmaci innovativi all’interno delle farmacie: posizione, comunque, conciliabile con tale proposta.

Una situazione articolata, di non semplice decodificazione, dalla quale si spera che tanto la nostra professione quanto il cittadino possano uscirne arricchiti

A cura di Giuseppe Ruggeri