Argomento dibattuto, dall’opinione pubblica al mondo scientifico, svariati i settori di applicabilità e sbocchi sul campo, molteplici le precisazioni legislative: questo è il mondo Cannabis.
Di mondo si tratta, con duplice valenza: una strettamente storica, legata alla conoscenza millenaria della pianta stessa, risalente addirittura al Neolitico, l’altra puramente farmacologica, che pone una certa attenzione alle innumerevoli sostanze individuate, all’incirca 750.
La Storia insegna allo studio ed all’osservazione degli esseri viventi, dei fenomeni loro correlati e collabora alla fusione delle culture, con scambi di nozioni e traguardi raggiunti.
Nel caso della Cannabis assistiamo ad una diffusione in molte parti della Terra, grazie alle migrazioni dei popoli nomadi e al propagarsi degli imperi; diffusione, che ha aiutato allo sviluppo dei diversi campi applicativi; si pensi ad esempio all’uso tessile nella produzione di corde e vele, risalenti all’epoca delle Repubbliche marinare, passando per la produzione di carta e alla redazione delle prime Farmacopee della medicina cinese del 2700 ac.
Cosa risulta essere cambiato, nel salto spazio-tempo, che ci porta ai giorni nostri?
Il proibizionismo, che ha caratterizzato la metà del ‘900, ha in parte ostacolato questo mercato, congelando sia i traguardi applicativi raggiunti sia gli scenari futuri.
Con il Decreto del Presidente della Repubblica del 9 ottobre 1990, n. 309, (DPR 309/909) recante: “Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza” (aggiornamento pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Suppl. Ordinario del 15-3-2006) si è regolata la coltivazione in base alle sostanze stupefacenti e psicotrope, nello specifico interessa quelle piante di Cannabis con un contenuto di THC superiore allo 0,6% (art. 17, art. 26, art 27 “e’ vietata nel territorio dello Stato la coltivazione delle piante comprese nella tabella I di cui all’articolo 14 “).
Quando si parla di fitoterapia e si prendono in esame le specie botaniche, ci si addentra in un laboratorio chimico a tutti gli effetti, la pianta della Canapa conferma questa tesi, rivelandosi una fonte importante ed inesauribile di principi attivi, si contano più di 400 sostanze chimiche, una sessantina delle quali formano il gruppo dei cannabinoidi (i fitocannabinoidi) ma i più approfonditi studi farmacologici hanno posto l’attenzione su due composti: il THC e il CBD.
Il ∆9–tetraidrocannabinolo (THC) e il CBD non esistono come tali nella pianta, prendono piuttosto forma dalla decomposizione nel nostro organismo, in seguito ad accumulo, assistendo alla trasformazione delle forme acide (THCA e CBDA) in quelle neutre, farmacologicamente attive.
Il processo viene accelerato dalle alte temperature, che si raggiungono attraverso fumo e cottura, principali responsabili degli effetti psicoattivi del THC.
Il cannabidiolo (CBD) merita, invece, una riflessione a parte, giocando un ruolo cruciale nell’equilibrio e nel bilancio psicoattivo della cannabis: è infatti la sua azione antagonista rispetto al THC che consente di mitigarne gli effetti collaterali (respiratori e cardiaci) e ne migliora la farmacocinetica.
La localizzazione dei recettori, che vengono coinvolti nel nostro organismo, in seguito all’assunzione di cannabis, è variegata.
All’oggi conosciamo due tipi di recettori cannabinoidi: CB1 e CB2.
I primi si trovano principalmente nell’encefalo ed in minore densità, nei polmoni, nel fegato, nei reni e nelle cellule degli apparati riproduttivi; sono invece assenti nella parte del sistema nervoso che presiede al controllo delle funzioni respiratorie e cardiovascolari. La stimolazione dei recettori CB1 rende conto degli effetti euforizzanti, l’azione antiemetica, immunosoppressiva, antinfiammatoria, antispastica e stimolante dell’appetito.
Per i recettori CB2 abbiamo una localizzazione sulle cellule T del sistema immunitario ed anche a livello del sistema nervoso centrale. La stimolazione dei recettori CB2 sembra essere responsabile. principalmente dell’azione anti-infiammatoria e immunomodulatrice dei cannabinoidi.
Il salto temporale che ci porta ai giorni nostri, ci catapulta in un presente complesso, a livello normativo e di applicabilità; soprattutto perché la pianta, che fino a qui sembrerebbe interessare solo il mondo scientifico, presenta risvolti ed impieghi interessanti in molti ambiti.
Esistono diversi “tipi” di cannabis; spesso piante botanicamente identiche differiscono tra loro chimicamente; le piante coltivate per l’ottenimento di fibre tessili hanno un contenuto predominante di CBD e solo tracce di THC (meno di 0.3%), al contrario quelle coltivate a scopo farmaceutico contengono principalmente THC, e CBD solo in tracce.
Oltre a fornire sostanze chimiche, la cannabis è molto versatile, prestandosi ad una coltivazione e ad una crescita, in zone spesso sfavorevoli ad altre specie, garantendo sempre un utilizzo in tutte le sue parti; si pensi ad esempio all’impiego dei semi quali precursori di olii (uso alimentare, cosmetico), grazie all’altissimo valore proteico fornito, oppure all’impiego nei carburanti in sostituzione del petrolio, consentendo una produzione green ed ecologica, passando per la bioedilizia e la bioingegneria.
Negli ultimi mesi c’è un gran vociferare su un concetto, da un certo punto di vista, nuovo per il nostro Paese, quello di Cannabis light ovvero, una catalogazione semplificativa di quel tipo di cannabis che contiene un indice di THC inferiore allo 0,6%.
La legge 242/2016, entrata in vigore nei mesi scorsi, prova a stabilire questi limiti tentando di dare una qualche forma giuridica, che regolamenti il mercato della canapa industriale, soprattutto per chi ha scelto di dedicare forze ed energie nello sviluppo del settore produttivo.
Dall’art 4 coomma 5 si evince: «Qualora all’esito del controllo il contenuto complessivo di THC della coltivazione risulti superiore allo 0,2 per cento ed entro il limite dello 0,6 per cento, nessuna responsabilità è posta a carico dell’agricoltore che ha rispettato le prescrizioni di cui alla presente legge» ; l’ ipotesi del superamento del limite dello 0,6% è contemplata nel co. 7 del citato art. 5, che prevede: «Il sequestro o la distruzione delle coltivazioni di canapa impiantate nel rispetto delle disposizioni stabilite dalla presente legge possono essere disposti dall’autorità giudiziaria solo qualora, a seguito di un accertamento effettuato secondo il metodo di cui al comma 3, risulti che il contenuto di THC nella coltivazione è superiore allo 0,6 per cento. Nel caso di cui al presente comma è esclusa la responsabilità dell’agricoltore».
La legge trova applicazione per le coltivazioni di canapa le cui varietà agricole siano ammesse nel Catalogo comune (ai sensi dell’art 17 della direttiva 2002/53/CE) che non rientrano nel testo unico delle leggi in materia di stupefacenti (DPR 309/90).
Quali sono quindi le precauzioni per chi intende avviare una coltivazione agricola?
Il coltivatore deve necessariamente prendere le giuste precauzioni per non incorrere in sanzioni o addirittura provvedimenti, che portino alla distruzione dell’intero campo agricolo.
E’ d’obbligo, dunque, conservare idonea documentazione che attesti l’acquisto dei semi delle qualità e specie ammesse in Catalogo e munirsi di certificazioni, provenienti da laboratori di analisi anche privati, che attestino la presenza di un livello di THC inferiore allo 0,2% o che non superi mai lo 0,6%, in ogni specialità che si intende commercializzare.
E’ bene anche tutelarsi negli acquisti da terzi, pretendendo, alla consegna del prodotto, un confezionamento sigillato con etichetta che indichi provenienza, lotto e specie originaria di appartenenza.
Nonostante queste doverose precisazioni in materia, negli ultimi mesi si è assistito ad un retro front soprattutto sul versante istituzionale, con parere negativo si è espresso il Consiglio Superiore di Sanità(CSS)sulla commercializzazione delle infiorescenze di cannabis light, parere che era stato richiesto dall’ex Ministro della Salute, on. Beatrice Lorenzin, il 19 febbraio dello scorso anno:
“La biodisponibilità di Thc anche a basse concentrazioni (0,2%-0,6%, le percentuali consentite dalla legge, Ndr) non è trascurabile, sulla base dei dati di letteratura; per le caratteristiche farmacocinetiche e chimico-fisiche, Thc e altri principi attivi inalati o assunti con le infiorescenze di cannabis sativa possono penetrare e accumularsi in alcuni tessuti, tra cui cervello e grasso, ben oltre le concentrazioni plasmatiche misurabili; tale consumo avviene al di fuori di ogni possibilità di monitoraggio e controllo della quantità effettivamente assunta e quindi degli effetti psicotropi che questa possa produrre, sia a breve che a lungo termine”.
Queste conclusioni mettono comunque a rischio quello che è un mercato florido e in continua crescita.
Il Ministro della Salute, on. Giulia Grillo, ha tuttavia tentato di rassicurare coloro che hanno investito nel settore: “Quella del Consiglio superiore di Sanità che chiede di vietare la vendita della cannabis light, è una conclusione un po’ forte, visto che si tratta di un principio di precauzione e comunque di una quantità di sostanza attiva molto bassa», ha dichiarato, precisando che il CSS è «un organo comunque consultivo, dato che poi le decisioni le prende il Governo”.
Queste precisazioni non hanno nulla a che vedere con il concetto di liberalizzazione delle droghe leggere nel nostro Paese, piuttosto viene riposto molto interesse per i fini terapeutici verso tutti quei pazienti che necessitano di cure tempestivamente disponibili: “Farò ogni sforzo affinché in tutte le farmacie torni disponibile la cannabis ad uso medico, per garantire la continuità terapeutica alla quale avete diritto”.
Un conseguente aumento di fabbisogno e quindi di richieste per il settore farmaceutico potrebbe aprire la porta ai privati alla coltivazione di canapa con indice superiore allo 0.6% (uso terapeutico), utilizzando il suolo italiano che ben si presterebbe a questa coltivazione e successiva trasformazione; all’oggi ricordiamo che l’unico istituto abilitato alla coltivazione e immissione di canapa terapeutica FM2 risulta essere lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze.
Secondo la Coldiretti questa apertura del mercato potrebbe generare un reddito di 1,4 miliardi di euro ed almeno 10 mila posti di lavoro: “Si possono mettere a disposizione da subito mille ettari di terreno in coltura protetta; si tratta di ambienti al chiuso dove più facilmente possono essere effettuate le procedure di controllo da parte dell’autorità preposte per evitare il rischio di abusi”.
Secondo quanto affermato dal presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo: ”L’agricoltura italiana è oggi pronta a collaborare per la creazione di una filiera controllata capace di far fronte a una precisa richiesta di prodotti per la cura delle persone affette da malattia; si tratta anche di un progetto innovativo che potrebbe vedere il nostro Paese all’avanguardia nel mondo”.
In questo contesto vario e storicamente cruciale per il nostro Paese, sia per i provvedimenti intrapresi sia per quelli in esame, nel suddetto così come in altri ambiti sociali e culturali, è importante che le decisioni prese siano sempre accompagnate dal giusto grado di conoscenza e da una buona dose di responsabilità.
A cura di Carolina Carosio