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Quando la genetica spiega l’evoluzione culturale dell’uomo

La genetica, per combattere il concetto di razza e razzismo.
Oggi, all’ombra di questa grande intuizione, lavorano tantissimi ricercatori.
Un’intuizione che risale a circa 2milioni di anni fa e che è costata decenni di studi, spedizioni in ogni parte del mondo, indagini di biologia molecolare, impiego di procedimenti quantitativi matematici e statistici.

Il genetista Luigi Luca Cavalli-Sforza, scomparso lo scorso mese, è stato ed è tutt’ora grande motivo di orgoglio italiano e questa sua intuizione assieme a quelli che sono stati i suoi studi, rappresentano una ricchezza straordinaria di contributi che hanno permesso di delineare un atlante genetico dell’umanità, tradottosi nella più completa e aggiornata ricostruzione della nostra storia evolutiva.
In Storia e geografia dei geni umani, Cavalli-Sforza e i suoi collaboratori Paolo Menozzi e Alberto Piazza, hanno innanzitutto cartografato la distribuzione di centinaia di geni su scala mondiale, per dedurre dal confronto delle mappe le linee filogenetiche delle popolazioni.
L’albero genealogico così costruito è stato quindi messo in rapporto con una enorme quantità di dati demografici, archeologici, linguistici, il tutto per dimostrare sperimentalmente e matematicamente un concetto fondamentale: le razze umane non esistono.
Per giungere a questo, Sforza ha contribuito a inventare una nuova scienza, la genetica di popolazione, insieme all’americano Sewall Wright e agli inglesi J. B. S. Haldane e Ronald Fisher.

Il fulcro del suo interesse era capire come le varie popolazioni umane si fossero spostate e diffuse nel tempo, differenziandosi via via ma mantenendo anche similitudini. Tramite marcatori quali i gruppi sanguigni, forme varianti dello stesso gene e addirittura anche i linguaggi, studiando moltissime popolazioni di tutto il pianeta, Cavalli-Sforza si rese conto che per via dei continui flussi migratori, la variabilità genetica tra due individui della stessa popolazione è maggiore della variabilità tra due popolazioni anche molto distanti.
In altre parole, le razze umane non esistono perché la nostra specie è estremamente mobile e mantiene elevato il flusso genico. Maggiore è la variabilità genetica, come quella delle popolazioni africane, e più le popolazioni sono in grado di sopravvivere agli eventi avversi.
“L’evoluzione umana” – scriveva il Prof. Sforza- “è costellata dalla frammentazione di popolazioni in parti. Ogni parte è soggetta a un’evoluzione linguistica e genetica che porta le tracce di punti di ramificazione comuni.”
“Mai prima d’ora una indagine scientifica aveva saputo illuminare con altrettanta precisione il rapporto tra geni e culture” e disegnare con precisione e univocità una implicita confutazione scientifica di ogni razzismo.

Questa multidimensionalità storica e geografica della diversità genetica rivela un profondo radicato senso dell’appartenenza, della comunanza, della nostra unità nella diversità; un tema di grande attualità ma anche dalle radici antiche e alvariane.

 

A cura di Giulia Panzarella